Gli strutturalisti erano architetti degli anni '50 legati all'architettura tradizionale del luogo, che doveva dare risposte dirette alle esigenze degli utilizzatori. Gli strutturalisti olandesi miravano a creare edifici che rispecchiassero la struttura sociale dei loro occupanti e quindi studiavano i comportamenti umani per trovarne il corrispettivo nell'architettura tradizionale e locale. L'architettura pur traendo ispirazione da modelli senza tempo, doveva essere adattabile e flessibile, oltre che sensibile all'espansione, ai cambiamenti e al luogo. Aldo van Eyck studiando l'architettura tradizionale africana colse l'importanza del simbolismo e della distribuzione degli spazi in base allo stato sociale. Van Eyck cercò di applicare le forme simboliche dell'architettura tradizionale (in contrasto con le idee di Le Corbusier e dei CIAM) a strutture di materiali moderni. Gli strutturalisti degli anni '60 e '70, tra cui anche il giapponese Kenzo Tange, puntavano alla progettazione di spazi più flessibili e alla progettazione partecipata dagli utilizzatori. L'attenzione al luogo condusse gli strutturalisti a occuparsi di urbanistica e a tentare di ravvivare le vie cittadine. In America Luis Kahn alle idee strutturaliste univa anche un senso di monumentalità, convinto che l'uomo avesse bisogno di circondarsi di grandi edifici felicemente inseriti nel contesto (Salk Institute in California).
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